Mese: Novembre 2018

Intervista: il decorso post separazione divorzio

I matrimoni in Italia sono in aumento, ma anche le separazioni e i divorzi. Soltanto dieci coppie su cento resistono finché morte non le separi, per tutte le altre ci pensa il temutissimo diciassettesimo anno, un vero flagello. Così come sono tristemente note le cause che possono asfissiare l’amore fino a spegnerlo completamente: problemi di natura economica, familiare, veri o presunti tradimenti oppure problematiche comportamentali di varia natura che a lungo andare mutano la salute della coppia. Ciò che invece si conosce poco è il decorso post separazione e divorzio, mentre l’unica cosa certa è il dolore. Il fallimento di un matrimonio, di una promessa che si pensava fosse “per sempre”, lascia inevitabilmente il segno. Dubbi e domande poste dalla giornalista di Italia StarMagazine, Floriana Naso, a cui risponde la dr. Rossella D’Amico del Centro di psicoterapia e psicologia clinica di Torino.

Secondo lei, la separazione è sempre la scelta più giusta per mettere fine a un’unione agonizzante? 

No, di solito le coppie che si rivolgono al nostro Centro arrivano con una grande sofferenza, ma non sono ancora consapevoli di quale possa essere la soluzione adeguata al momento di crisi. E’ sempre necessaria una preliminare e accurata analisi della domanda e delle motivazioni individuali e di coppia legate alla richiesta d’aiuto, prima di intraprendere qualsiasi terapia e definirne gli obiettivi che possono riguardare sia la soluzione del conflitto sia la decisione di lasciarsi.

Sono in aumento le persone in difficoltà che riconoscono nello psicoterapeuta un sostegno fondamentale per superare la separazione. Ci spieghi su quali fronti interviene lo specialista e per quale fine.

Quando una coppia si separa è estremamente importante elaborare i vissuti dolorosi provocati dalla separazione, avvenimento che da un punto di vista psichico può essere paragonato a un vero e proprio lutto per entrambi i componenti della relazione. Spesso la persona si rivolge a noi in questo momento perché sente di non riuscire a superare la rabbia, le recriminazioni, i desideri di vendetta che accompagnano questa fase. Se però l’individuo riesce a vivere ed elaborare tutte le emozioni dolorose che seguono la rottura del rapporto allora può uscire dalla separazione più forte. Attraverso la riappropriazione dell’autostima è possibile riscoprire le proprie risorse interiori, sia emotive che cognitive, mettendole al servizio della situazione che si sta vivendo e che prima poteva apparire insostenibile. E’ utile in tutto il percorso psicologico ricostruire la storia della relazione e gli accaduti fino al momento presente, si tratta sia di eventi reali che di vissuti interiori a cui è importante dare un senso e significato per comprendere la fine del rapporto. In questa fase ci si può sentire in colpa a causa del fallimento del proprio matrimonio per esempio e dei progetti contenuti in esso, come se tutto dipendesse da se stessi: ci si domanda dove si è sbagliato, ci si sente inadeguati e si vive uno stato emotivo di profonda tristezza. La terapia mira ad affrontare questa fase psicologica rispettando i tempi individuali, variabili da persona a persona, fase che se non elaborata adeguatamente può incidere negativamente sull’autostima personale e sulla progettazione di vita.

Quali stati d’animo appartengono alla persona lasciata e quali a chi ha lasciato? Siamo portati a pensare che la persona lasciata soffra sempre di più dell’altra, ma è davvero così?

Dipende molto dalle situazioni e dalle motivazioni che hanno causato la crisi e la fine della relazione. Può succedere, per esempio, che chi decide di lasciare lo faccia per uscire da una situazione di maltrattamento, fino a quel momento subito solo passivamente, oppure per uscire da un rapporto di dipendenza affettiva in cui decidere di lasciare può procurare forti sentimenti depressivi. Molto dipende dalla personalità individuale, dalla storia personale, da come si è vissuto le separazioni nella propria vita, dai propri valori, dall’appartenenza o meno ad una religione, dal tipo di coppia se omosessuale o eterosessuale, se sono presenti o meno dei figli: non esiste una regola valida che ci può far dire chi soffre di più e chi soffre di meno, se chi lascia o chi viene lasciato. In molti casi chi lascia è più avanti nell’elaborazione della separazione perché spesso la scelta non è impulsiva, anche se così può sembrare a chi viene lasciato. Il membro della coppia che lascia è da tempo coinvolto nell’affrontare interiormente e in solitudine i conflitti e le ambivalenze legate a questa scelta. Quando avviene la comunicazione al partner di voler porre fine alla relazione di coppia, chi lascia ha già iniziato a disinvestire rispetto al legame e ha già elaborato in parte i vissuti dolorosi legati alla separazione.

Abbiamo sentito fin troppe volte l’espressione “il matrimonio mi soffocava, avevo bisogno di libertà”. Secondo la sua esperienza, la libertà conquistata dopo una separazione è, nella maggior parte dei casi, così come il paziente se l’aspettava?

Anche in questo caso non è possibile operare generalizzazioni, benché vediamo spesso persone che dopo una separazione hanno riscoperto le proprie aspirazioni, i propri interessi per lungo tempo soffocati da una relazione che richiedeva, per essere mantenuta in piedi, troppi compromessi emotivi. Sicuramente il ritrovarsi da soli implica un grosso cambiamento, oltre che concreto, anche nelle dinamiche interiori: quando una persona sta male per problematiche individuali può talvolta illudersi che la colpa sia del proprio compagno/a, accorgendosi invece dopo la separazione di continuare a soffrire perché in questo caso il problema non è tanto relazionale, quanto intrapsichico.

Quali sono le “verità” legate alla coppia che più spesso emergono in terapia? E perché non prima?

Molto spesso durante il percorso di ricostruzione della storia della coppia ad emergere sono vissuti legati al passato della relazione, dei “non detti” per timore e difficoltà di comunicazione con il partner. A volte i contenuti riguardano i bisogni profondi della persona che per paura del rifiuto oppure di un possibile conflitto è stata costretta a reprimere, con il tempo però i “non detti” si trasformano in rancore sotterraneo, tradimenti, in disinvestimento dalla relazione, diffuso malessere che intossica e logora la relazione dall’interno. Talvolta queste situazioni si creano anche perché il partner non è disponibile a empatizzare con i bisogni e le necessità dell’altro.

Cosa accade quando la persona che ha chiesto la separazione si pente? Diamo per scontato che sia facile rimediare tornando semplicemente dalla persona lasciata, ma è davvero così?

E’ raro che dopo un percorso di elaborazione psicologica della separazione, che conduce necessariamente dal disinvestimento dal legame, si ritorni alla situazione precedente. A volte quando questo accade potrebbe significare che il lutto della separazione non è stato adeguatamente elaborato ed è possibile che avvenga un ricongiungimento della coppia, se anche il partner si trova in questa situazione emotiva. E’ necessario in questi casi affrontare i conflitti che hanno portato ad una temporanea rottura del rapporto. Nei casi invece in cui la decisione di lasciarsi sia frutto di una scelta non sufficientemente elaborata ma dettata dalle emozioni del momento, ritornare dal partner lasciato può ricongiungere nella realtà la coppia, ma lasciare ferite legate alla delusione, può compromettere la fiducia reciproca e diventa necessario prendersi cura per molto tempo del legame compromesso.

Ci sono coppie che si lasciano di comune accordo e altre che si sfasciano malamente. Quali sono, secondo lei, le difficoltà che incontrano entrambe le tipologie di coppie nel post separazione?

Quando la separazione avviene di comune accordo capita che uno dei problemi principali da affrontare sia come dirlo ai propri figli, se presenti. Diventa molto importante trovare un modo comune per comunicarlo condividendo i vissuti che possono emergere, aiutandoli a comprendere che loro non hanno alcuna colpa riguardo l’accaduto. Nelle situazioni dove la decisione di lasciarsi è unilaterale accade che chi viene lasciato entri in una fase in cui non si rende conto di quello che sta succedendo e spera che l’ex coniuge ci ripensi e torni sui suoi passi: rimane in una situazione di attesa. E’ importante che questa fase di negazione venga riconosciuta e affrontata per poter accedere ai sentimenti di delusione, rabbia, paura e rancore che emergono naturalmente in chi si trova a subire una perdita o un tradimento. Si può avere la percezione di aver subito dei torti e di essere una vittima nella relazione e che l’altro venga percepito come un nemico. In questa fase si soffre molto, si tratta comunque di una reazione normale che serve a disinvestire dal legame. Talvolta le persone si rivolgono a noi in questi momenti perché sentono di non riuscire ad uscire da questa fase di angoscia e di rabbia e riprendere in mano la propria vita.

Quali sono, secondo lei, le problematiche più comuni che possono portare, alla lunga, alla fine di un rapporto?

Ciò che porta al divorzio non è sempre innescato da un evento improvviso, anzi spesso si svolge nel corso del tempo. Stan Takin, autore di Wired For Love, dice che: “è come un piatto indistruttibile che fai cadere ripetutamente” e “la relazione si riempie di crepe strutturali che non riesci a vedere, poi, alla fine, raggiunge la massa critica e va in frantumi”. L’insoddisfazione può svilupparsi per una serie di ragioni ma spesso emergono dei temi dominanti. Uno dei temi più comuni che ci capita di sentire, specialmente dalle donne, è di aver rinunciato a troppe cose, ai propri bisogni ad esempio di carriera per crescere i figli, senza essere sostenute dalla collaborazione del partner. Quello che però logora necessariamente la relazione è l’impossibilità di affrontare di volta in volta i problemi, la delusione delle proprie aspettative e le difficoltà insieme al partner.

Qual è il modo migliore per affrontarle e superarle e soprattutto non ripeterle (in caso di separazione) con altri partner?

Non ripetere gli errori del passato deriva dall’aver elaborato adeguatamente le difficoltà di relazione vissute in precedenza e aver riflettuto sui motivi per cui la relazione è finita al fine di non replicare le stesse dinamiche su nuovi rapporti. Molto utile è prendere coscienza dei propri bisogni e delle proprie difficoltà nelle relazioni al fine di instaurare rapporti basati sull’autenticità. Queste consapevolezze aiutano a stabilire dei compromessi emotivi più tollerabili per sé e per l’altro.

I dati ISTAT ci dimostrano che la maggior parte dei divorzi avviene quando lui ha circa 48 anni e lei 45. Considerando l’aspetto emotivo, ci sono sostanziali differenze nell’elaborare la fine di un rapporto a 50 anni, piuttosto che a 60 o a 70?

Rispetto al 1990, secondo il National Center For Family and Marriage Research dell’Università di Bowling Green Ohio, le possibilità di divorzio tra gli ultra cinquantenni sono più del doppio. Fino a qualche anno fa gli over 65 raramente divorziavano oggi, invece, secondo i dati dell’associazione legale Family Legal, i “divorzi grigi” tra i 65 e gli 85 sono cresciuti anche in Italia. Viviamo in un’epoca in cui tutte le fasi della vita si sono spostate in avanti. I cinquantenni si sentono giovani e a 60 anni non ci si considera affatto vecchi. Il divorzio in questo contesto può anche avere una valenza di affermazione della propria vitalità, la possibilità di ricominciare e progettare una nuova vita, anche in età avanzata, allontana lo spettro della vecchiaia. Molte coppie, terminato il compito dell’accudimento dei figli, si rendono conto di non aver coltivato la loro relazione e si scoprono diversi ed estranei o si innamorano di altri. L’elaborazione della separazione è possibile anche nella terza fase della vita in cui la conoscenza di sé solitamente è più ampia e la maggiore maturità acquisita può aiutare a vivere con più consapevolezza e gratificazione nuove relazioni. Ci sono ultracinquantenni che ricorrono alla terapia di coppia per provare a recuperare il loro rapporto, ma anche disposti a rimettersi in gioco nella vita di relazione, cosa che in altre epoche era impensabile.

I suoi consigli a una coppia in crisi.

Se vi sentite infelici all’interno della vostra relazione non fate finta di niente, ma cercate di comprendere meglio i motivi di insoddisfazione, nella fiducia di poterli affrontare parlandone con il partner. Se non riuscite a farlo domandatevi il perché anche riguardo questa difficoltà. Ogni persona ha diritto di essere felice e non vale la pena sprecare anni della propria vita in uno stato di sofferenza. Affrontare le difficoltà può essere doloroso e i cambiamenti possono far paura ma vale la pena riconoscere i propri sentimenti per vivere la vita in maniera autentica. Quando i limiti appaiono insormontabili vi consiglio di chiedere aiuto ad un professionista psicoterapeuta che potrà accompagnarvi individualmente o in coppia nello scoprire la strada più adeguata per perseguire il vostro benessere.

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Violenza sulle donne e violenza domestica

Questo breve articolo ha l’obiettivo di introdurre il tema del femminicidio: che cos’è, il suo significato e perché ancora oggi è molto presente in Italia. I dati riguardo alla violenza sulle donne confermano che nell’ultimo decennio si è assistito ad un aumento di violenza domestica in cui le vittime sono di sesso femminile. Presso il Centro psicologia Torino riscontriamo un crescente interesse sociale per tale tema, anche se nella popolazione aleggia ancora un alone di mistero attorno alle cause, al significato di tali gesti di follia e alle cause che fanno scattare l’azione aggressiva e/o omicida nell’uomo. Nella nostra esperienza di psicoterapeuti psicologi a Torino nella maggior parte dei casi tali agiti si scatenano in relazione alla perdita della persona amata: chi commette il reato non è in grado di tollerare la perdita della compagna che nel tempo è diventata una sostituta affettiva di una parte interna, senza la quale l’uomo vive una profonda sofferenza. Si tratta di un rapporto di dipendenza patologica che per l’uomo non può e non deve essere spezzato.

L’aggressività relazionale è frutto di dinamiche intrapsichiche che nell’uomo sono venute a crearsi fin dai primi anni di vita, è centrale l’importanza che assume il ruolo della madre nella crescita del figlio, futuro uomo violento. Le relazioni significative dell’infanzia influenzano nel bene e nel male le relazioni del presente, dunque il significato della violenza psicologica, in un lavoro di psicoterapia Torino, va ricercato nelle esperienze di vita passate: il fatto di non essersi sentiti amati in maniera incondizionata dalle proprie figure genitoriali provoca un dolore psichico e una ferita narcisistica tale da indurre delle difese interne che operano in modo da rimuovere la consapevolezza di tali mancanze. In alcuni casi l’uomo che aggredisce è stato un bambino aggredito o che ha respirato un clima di violenza domestica, come riscontriamo nei percorsi di psicoterapia a Torino. Freud parlava della “coazione a ripetere” riferendosi all’eterno ritorno delle situazioni traumatiche dell’infanzia, a causa delle quali i vissuti rimossi dalla coscienza riemergono in relazione ad altre situazioni che si vengono ad attuare una volta adulti e apparentemente fuori dalle vecchie dinamiche di sofferenza. La violenza psicologica può nascere dall’identificazione con l’aggressore, tema a lungo trattato negli scritti di Sandor Ferenczi, cosicchè un bambino che vive quotidianamente la violenza sulle donne vedendo il proprio padre portatore di una grossa violenza psicologica e maltrattamenti fisici verso la propria madre, può identificarsi con lui attraverso meccanismi difensivi inconsci e diventare un adulto pericoloso. La violenza domestica di domani può nascere tra le mura di una casa in cui sono presenti oggi maltrattamenti e abusi, perchè i bambini si identificano con i genitori sia nel ruolo di vittime sia nel ruolo di aggressori: nella nostra esperienza di psicoterapeuti a Torino tali dinamiche disfunzionali vengono interiorizzate per tutta la vita, in assenza di un lavoro di psicoterapia che le renda consapevoli e che aiuti ad elaborare la sofferenza sottostante. Questo non significa necessariamente che un uomo nella cui famiglia d’origine era presente un clima di violenza privata si comporti sulla base dell’esempio ricevuto, ma in assenza di un’adeguata elaborazione psichica vivrà dentro di sè una forte aggressività, anche se potrà riuscire a controllarsi e a non agire comportamenti di violenza sulle donne. Nella nostra esperienza di psicoterapeuti a Torino in questi casi è comunque presente un rischio maggiore di incorrere nella psicopatologia, che può declinarsi in comportamenti a rischio, abuso di sostanze o l’insorgenza di altri tipi di dipendenza, forme di autolesionismo, depressione.

Psicoterapeuti a Torino analizzano le cause principale per cui vengono commessi atti di violenza domestica che possono arrivare fino al femminicidio: il significato alla base di tali tematiche risiede dunque nei traumi non elaborabili subiti in un tempo in cui la persona era indifesa. In questi casi la vittima se inconsapevole del proprio vissuto può trasformarsi in carnefice. La rabbia che il bambino ha dovuto rimuovere diventa distruttività senza fine né scopo: lo psicologo infantile spiega che la violenza in questo senso è una perversione della normale e sana aggressività umana, che svolge un ruolo funzionale per la vita di ogni individuo. Pertanto la distruttività umana è conseguenza di una deformazione della normale rabbia che non ha avuto la possibilità di esprimersi dal momento in cui è stata attivata dall’incapacità delle persone accudenti di provare empatia. Un percorso di psicoterapia a Torino offre la possibilità di recuperare i vissuti rimossi così che non agiscano in maniera così violenta e inconscia nella psiche della persona.

Al Centro psicologia Torino riscontriamo come alcuni uomini sentano l’impulso di uccidere le proprie ex compagne quando si sentono abbandonati, se questa esperienza è stata vissuta attraverso il rifiuto da parte della propria madre, il rischio di una separazione riattiva il trauma primario e fondante. Si riscoperchiano quei vissuti abbandonici antichi non ancora elaborati perché nel momento in cui sono stati causati erano troppo laceranti da poter guardare e sentire. Psicologi a Torino confermano che in genere è la madre ad essere il primo oggetto d’amore del bambino: l’imprinting del figlio si forma nei primi sei/otto mesi di vita quando appunto è la madre a prendersi cura di lui. Quindi, seguendo le teorie accreditate di Bowlby, questo primo attaccamento farà sì che anche negli anni successivi il bambino sia direzionato verso la madre per il soddisfacimento dei propri bisogni di accudimento e protezione. Se tale legame si è formato sulla base di emozioni come la delusione, la svalutazione, sensi di colpa e frustrazione, questo stampo relazionale non si scorderà mai e questi vissuti verranno proiettati sulla propria compagna innescando un particolare e antico schema relazionale, caricato dall’aspettativa di essere prima o poi abbandonati esattamente come nella propria relazione primaria. In un percorso di counseling presso il Centro psicologia Torino è possibile comprendere come e perché la propria figura affettiva attuale venga investita di aspettative e previsioni negative che possono far nascere vissuti di gelosia patologica e comportamenti aggressivi dovuti al bisogno di possesso e di controllo. Nei percorsi di psicoterapia a Torino con queste persone emerge tutta la loro paura di perdere la persona amata, il senso di impotenza nel non poter controllare i sentimenti della partner e la conseguente rabbia e frustrazione che rischia di trasformarsi in violenza privata. Come psicologi a Torino  vediamo come tale sofferenza, pericolosa per sè stessi e per la donna che si affianca all’uomo che ne soffre, non dipenda da dinamiche attuali della relazione di coppia, ha in realtà origine in tutt’altro tempo e luogo.

I dati inerenti sulla violenza sulle donne riportano che anche la società gioca un ruolo importante nell’assecondare la violenza domestica, infatti malgrado i progressi nell’acquisizione dei diritti delle donne la cultura odierna presenta ancora un’impronta maschilista. In alcune aree del nostro Paese è vivo e attivo il concetto di “possesso” della donna, non in tutte le famiglie è presente un’educazione in cui siano equiparati i diritti maschili e femminili, le figlie femmine e i figli maschi vengono allevati secondo principi diversi. La misoginia è presente nelle istituzioni religiose che sono il perno e il fulcro delle istituzioni sociali. Anche se la cultura prevalente condanna l’idea che la donna abbia meno valore dell’uomo e che debba sottomettersi al maschile, aleggiano ancora nella nostra società pregiudizi e idee, non sempre espresse apertamente ma presenti negli atteggiamenti e nel modo di valutare le situazioni, che evidenziano una svalutazione del femminile. Questi motivi  sostengono la possibilità di violenza privata sulle donne ad oggi ancora molto presente nella nostra società.