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Intervista: il decorso post separazione divorzio

I matrimoni in Italia sono in aumento, ma anche le separazioni e i divorzi. Soltanto dieci coppie su cento resistono finché morte non le separi, per tutte le altre ci pensa il temutissimo diciassettesimo anno, un vero flagello. Così come sono tristemente note le cause che possono asfissiare l’amore fino a spegnerlo completamente: problemi di natura economica, familiare, veri o presunti tradimenti oppure problematiche comportamentali di varia natura che a lungo andare mutano la salute della coppia. Ciò che invece si conosce poco è il decorso post separazione e divorzio, mentre l’unica cosa certa è il dolore. Il fallimento di un matrimonio, di una promessa che si pensava fosse “per sempre”, lascia inevitabilmente il segno. Dubbi e domande poste dalla giornalista di Italia StarMagazine, Floriana Naso, a cui risponde la dr. Rossella D’Amico del Centro di psicoterapia e psicologia clinica di Torino.

Secondo lei, la separazione è sempre la scelta più giusta per mettere fine a un’unione agonizzante? 

No, di solito le coppie che si rivolgono al nostro Centro arrivano con una grande sofferenza, ma non sono ancora consapevoli di quale possa essere la soluzione adeguata al momento di crisi. E’ sempre necessaria una preliminare e accurata analisi della domanda e delle motivazioni individuali e di coppia legate alla richiesta d’aiuto, prima di intraprendere qualsiasi terapia e definirne gli obiettivi che possono riguardare sia la soluzione del conflitto sia la decisione di lasciarsi.

Sono in aumento le persone in difficoltà che riconoscono nello psicoterapeuta un sostegno fondamentale per superare la separazione. Ci spieghi su quali fronti interviene lo specialista e per quale fine.

Quando una coppia si separa è estremamente importante elaborare i vissuti dolorosi provocati dalla separazione, avvenimento che da un punto di vista psichico può essere paragonato a un vero e proprio lutto per entrambi i componenti della relazione. Spesso la persona si rivolge a noi in questo momento perché sente di non riuscire a superare la rabbia, le recriminazioni, i desideri di vendetta che accompagnano questa fase. Se però l’individuo riesce a vivere ed elaborare tutte le emozioni dolorose che seguono la rottura del rapporto allora può uscire dalla separazione più forte. Attraverso la riappropriazione dell’autostima è possibile riscoprire le proprie risorse interiori, sia emotive che cognitive, mettendole al servizio della situazione che si sta vivendo e che prima poteva apparire insostenibile. E’ utile in tutto il percorso psicologico ricostruire la storia della relazione e gli accaduti fino al momento presente, si tratta sia di eventi reali che di vissuti interiori a cui è importante dare un senso e significato per comprendere la fine del rapporto. In questa fase ci si può sentire in colpa a causa del fallimento del proprio matrimonio per esempio e dei progetti contenuti in esso, come se tutto dipendesse da se stessi: ci si domanda dove si è sbagliato, ci si sente inadeguati e si vive uno stato emotivo di profonda tristezza. La terapia mira ad affrontare questa fase psicologica rispettando i tempi individuali, variabili da persona a persona, fase che se non elaborata adeguatamente può incidere negativamente sull’autostima personale e sulla progettazione di vita.

Quali stati d’animo appartengono alla persona lasciata e quali a chi ha lasciato? Siamo portati a pensare che la persona lasciata soffra sempre di più dell’altra, ma è davvero così?

Dipende molto dalle situazioni e dalle motivazioni che hanno causato la crisi e la fine della relazione. Può succedere, per esempio, che chi decide di lasciare lo faccia per uscire da una situazione di maltrattamento, fino a quel momento subito solo passivamente, oppure per uscire da un rapporto di dipendenza affettiva in cui decidere di lasciare può procurare forti sentimenti depressivi. Molto dipende dalla personalità individuale, dalla storia personale, da come si è vissuto le separazioni nella propria vita, dai propri valori, dall’appartenenza o meno ad una religione, dal tipo di coppia se omosessuale o eterosessuale, se sono presenti o meno dei figli: non esiste una regola valida che ci può far dire chi soffre di più e chi soffre di meno, se chi lascia o chi viene lasciato. In molti casi chi lascia è più avanti nell’elaborazione della separazione perché spesso la scelta non è impulsiva, anche se così può sembrare a chi viene lasciato. Il membro della coppia che lascia è da tempo coinvolto nell’affrontare interiormente e in solitudine i conflitti e le ambivalenze legate a questa scelta. Quando avviene la comunicazione al partner di voler porre fine alla relazione di coppia, chi lascia ha già iniziato a disinvestire rispetto al legame e ha già elaborato in parte i vissuti dolorosi legati alla separazione.

Abbiamo sentito fin troppe volte l’espressione “il matrimonio mi soffocava, avevo bisogno di libertà”. Secondo la sua esperienza, la libertà conquistata dopo una separazione è, nella maggior parte dei casi, così come il paziente se l’aspettava?

Anche in questo caso non è possibile operare generalizzazioni, benché vediamo spesso persone che dopo una separazione hanno riscoperto le proprie aspirazioni, i propri interessi per lungo tempo soffocati da una relazione che richiedeva, per essere mantenuta in piedi, troppi compromessi emotivi. Sicuramente il ritrovarsi da soli implica un grosso cambiamento, oltre che concreto, anche nelle dinamiche interiori: quando una persona sta male per problematiche individuali può talvolta illudersi che la colpa sia del proprio compagno/a, accorgendosi invece dopo la separazione di continuare a soffrire perché in questo caso il problema non è tanto relazionale, quanto intrapsichico.

Quali sono le “verità” legate alla coppia che più spesso emergono in terapia? E perché non prima?

Molto spesso durante il percorso di ricostruzione della storia della coppia ad emergere sono vissuti legati al passato della relazione, dei “non detti” per timore e difficoltà di comunicazione con il partner. A volte i contenuti riguardano i bisogni profondi della persona che per paura del rifiuto oppure di un possibile conflitto è stata costretta a reprimere, con il tempo però i “non detti” si trasformano in rancore sotterraneo, tradimenti, in disinvestimento dalla relazione, diffuso malessere che intossica e logora la relazione dall’interno. Talvolta queste situazioni si creano anche perché il partner non è disponibile a empatizzare con i bisogni e le necessità dell’altro.

Cosa accade quando la persona che ha chiesto la separazione si pente? Diamo per scontato che sia facile rimediare tornando semplicemente dalla persona lasciata, ma è davvero così?

E’ raro che dopo un percorso di elaborazione psicologica della separazione, che conduce necessariamente dal disinvestimento dal legame, si ritorni alla situazione precedente. A volte quando questo accade potrebbe significare che il lutto della separazione non è stato adeguatamente elaborato ed è possibile che avvenga un ricongiungimento della coppia, se anche il partner si trova in questa situazione emotiva. E’ necessario in questi casi affrontare i conflitti che hanno portato ad una temporanea rottura del rapporto. Nei casi invece in cui la decisione di lasciarsi sia frutto di una scelta non sufficientemente elaborata ma dettata dalle emozioni del momento, ritornare dal partner lasciato può ricongiungere nella realtà la coppia, ma lasciare ferite legate alla delusione, può compromettere la fiducia reciproca e diventa necessario prendersi cura per molto tempo del legame compromesso.

Ci sono coppie che si lasciano di comune accordo e altre che si sfasciano malamente. Quali sono, secondo lei, le difficoltà che incontrano entrambe le tipologie di coppie nel post separazione?

Quando la separazione avviene di comune accordo capita che uno dei problemi principali da affrontare sia come dirlo ai propri figli, se presenti. Diventa molto importante trovare un modo comune per comunicarlo condividendo i vissuti che possono emergere, aiutandoli a comprendere che loro non hanno alcuna colpa riguardo l’accaduto. Nelle situazioni dove la decisione di lasciarsi è unilaterale accade che chi viene lasciato entri in una fase in cui non si rende conto di quello che sta succedendo e spera che l’ex coniuge ci ripensi e torni sui suoi passi: rimane in una situazione di attesa. E’ importante che questa fase di negazione venga riconosciuta e affrontata per poter accedere ai sentimenti di delusione, rabbia, paura e rancore che emergono naturalmente in chi si trova a subire una perdita o un tradimento. Si può avere la percezione di aver subito dei torti e di essere una vittima nella relazione e che l’altro venga percepito come un nemico. In questa fase si soffre molto, si tratta comunque di una reazione normale che serve a disinvestire dal legame. Talvolta le persone si rivolgono a noi in questi momenti perché sentono di non riuscire ad uscire da questa fase di angoscia e di rabbia e riprendere in mano la propria vita.

Quali sono, secondo lei, le problematiche più comuni che possono portare, alla lunga, alla fine di un rapporto?

Ciò che porta al divorzio non è sempre innescato da un evento improvviso, anzi spesso si svolge nel corso del tempo. Stan Takin, autore di Wired For Love, dice che: “è come un piatto indistruttibile che fai cadere ripetutamente” e “la relazione si riempie di crepe strutturali che non riesci a vedere, poi, alla fine, raggiunge la massa critica e va in frantumi”. L’insoddisfazione può svilupparsi per una serie di ragioni ma spesso emergono dei temi dominanti. Uno dei temi più comuni che ci capita di sentire, specialmente dalle donne, è di aver rinunciato a troppe cose, ai propri bisogni ad esempio di carriera per crescere i figli, senza essere sostenute dalla collaborazione del partner. Quello che però logora necessariamente la relazione è l’impossibilità di affrontare di volta in volta i problemi, la delusione delle proprie aspettative e le difficoltà insieme al partner.

Qual è il modo migliore per affrontarle e superarle e soprattutto non ripeterle (in caso di separazione) con altri partner?

Non ripetere gli errori del passato deriva dall’aver elaborato adeguatamente le difficoltà di relazione vissute in precedenza e aver riflettuto sui motivi per cui la relazione è finita al fine di non replicare le stesse dinamiche su nuovi rapporti. Molto utile è prendere coscienza dei propri bisogni e delle proprie difficoltà nelle relazioni al fine di instaurare rapporti basati sull’autenticità. Queste consapevolezze aiutano a stabilire dei compromessi emotivi più tollerabili per sé e per l’altro.

I dati ISTAT ci dimostrano che la maggior parte dei divorzi avviene quando lui ha circa 48 anni e lei 45. Considerando l’aspetto emotivo, ci sono sostanziali differenze nell’elaborare la fine di un rapporto a 50 anni, piuttosto che a 60 o a 70?

Rispetto al 1990, secondo il National Center For Family and Marriage Research dell’Università di Bowling Green Ohio, le possibilità di divorzio tra gli ultra cinquantenni sono più del doppio. Fino a qualche anno fa gli over 65 raramente divorziavano oggi, invece, secondo i dati dell’associazione legale Family Legal, i “divorzi grigi” tra i 65 e gli 85 sono cresciuti anche in Italia. Viviamo in un’epoca in cui tutte le fasi della vita si sono spostate in avanti. I cinquantenni si sentono giovani e a 60 anni non ci si considera affatto vecchi. Il divorzio in questo contesto può anche avere una valenza di affermazione della propria vitalità, la possibilità di ricominciare e progettare una nuova vita, anche in età avanzata, allontana lo spettro della vecchiaia. Molte coppie, terminato il compito dell’accudimento dei figli, si rendono conto di non aver coltivato la loro relazione e si scoprono diversi ed estranei o si innamorano di altri. L’elaborazione della separazione è possibile anche nella terza fase della vita in cui la conoscenza di sé solitamente è più ampia e la maggiore maturità acquisita può aiutare a vivere con più consapevolezza e gratificazione nuove relazioni. Ci sono ultracinquantenni che ricorrono alla terapia di coppia per provare a recuperare il loro rapporto, ma anche disposti a rimettersi in gioco nella vita di relazione, cosa che in altre epoche era impensabile.

I suoi consigli a una coppia in crisi.

Se vi sentite infelici all’interno della vostra relazione non fate finta di niente, ma cercate di comprendere meglio i motivi di insoddisfazione, nella fiducia di poterli affrontare parlandone con il partner. Se non riuscite a farlo domandatevi il perché anche riguardo questa difficoltà. Ogni persona ha diritto di essere felice e non vale la pena sprecare anni della propria vita in uno stato di sofferenza. Affrontare le difficoltà può essere doloroso e i cambiamenti possono far paura ma vale la pena riconoscere i propri sentimenti per vivere la vita in maniera autentica. Quando i limiti appaiono insormontabili vi consiglio di chiedere aiuto ad un professionista psicoterapeuta che potrà accompagnarvi individualmente o in coppia nello scoprire la strada più adeguata per perseguire il vostro benessere.

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